Ma la “onta” non ci ha lasciati soli! La logica in retromarcia del “non batter ciglio”. Non una semplice questione di stile.
Though my Trust hasn’t let us alone! A reverse “stiff upper lip” logic(1). It is not just a matter of Style.
Comunicato aziendale del 15 marzo 2020. “In questi giorni così particolari il mondo della Sanità sta dimostrando, ancora una volta, il suo lato migliore: quello composto dai tanti operatori che con professionalità, sacrificio e senso del dovere stanno assolvendo agli impegni richiesti dal proprio lavoro spesso oltrepassandoli. Ad emergere sono non solo le grandi capacità, ma anche quella generosa disponibilità senza la quale anche la migliore organizzazione sarebbe vanificata.
L’impegno di tutti gli operatori è stato giustamente sottolineato dagli organi dalla stampa, ma anche in maniera spontanea e sincera dai tanti cittadini che hanno organizzato omaggi e tributi. A questi dovuti ringraziamenti vuole unirsi anche la nostra Azienda che, con l’intento di dare la meritata visibilità ai propri professionisti, lancia un appello alla raccolta di foto che possano valorizzare quanto fatto quotidianamente e dare un messaggio di speranza alla popolazione.
L’invito è quindi a fare fotografie nei vostri ambiti di lavoro con il cartello che troverete sulla pagina del sito Igea raggiungibile attraverso questo link. Come vedrete riporta l’hashtag #CiPrendiamoCuraDiVoi
“Tutti insieme ce la faremo”.
“All together we’ll make it”
Ricevuto: “armiamoci (magari) e partite”
Allora ho deciso anche io di tirar fuori il mio “lato solare” e di partecipare. Di inviare il mio contributo che, credo, ben rappresenterà coloro che in tutti questi giorni, a Pandemia in fieri e anche conclamata, in molte corsie si sono invece sentiti richiamare (già lo ricordavano i cartelli che erano affissi) dalle aziende (che ora sponsorizzano quelli del “Tutti insieme ce la faremo”), che “le mascherine in ospedale potevano essere utilizzate soltanto da chi assiste un malato sospetto”. Ad alcuni le “mascherine” (quelle poche chirurgiche che c’erano) sono state levata dal viso “d’imperio” da funzionari zelanti e ortodossi alla direttiva dell’altro hastag mentale altrettanto diffuso e in voga sino a pochi giorni orsono: #PerNonCrearePanico.
Penso agli Angeli non agli eroi. Agli Angeli che qui alle pendici di Montenero, proseguono nel silenzio del loro coraggio reale e non sbandierato. Che devono operare in silenzio sulla loro nuvola di dignità, pietà umana e misericordia senza il ronzio di questa miriadi di “mosche cocchiere”. Alcuni di essi ancora convalescenti, altri forse già contagiati (ricordiamo che nel Nord Sardegna il 90% dei casi positivi a ieri, riguardava il personale sanitario (2) eppure al lavoro in qualsiasi condizione di equipaggiamento: per prestare soccorso e assistenza a chi ha più bisogno di loro sino a che sarà così.
Penso ai miei amici e colleghi in ospedale, a Alberto con figlioletti, moglie e due genitori vecchi da assistere quando sarà ritornato a casa, a Massimo, che nell’unico spazio di riposo tra i suoi turni massacranti, oltre 20 mila contagi fa per la Germania, prima che molti italiani proseguissero gite al mare e in montagna, ha percorso in auto duemila chilometri per andare a recuperare la figlia dai nostri compagni di sventura tedeschi. Penso agli altri Angeli, quelli alati certificati dell’Empireo, non posso nominarli tutti ma penso a Paolo, che in questi giorni di 48 ore, tiene il timone più oneroso, a Fabio “Bolt” (lui che resuscitò a mano in piena campagna uno sventurato che era andato in arresto cardiaco dopo essere stato colpito da un fulmine), a Miguel-Angel (di nome e di fatto) che alle due del mattino, con la tuta da geoVidnauta, invia un ironico messaggio WhatsApp minacciando che andrà via per sempre perché ha deciso di arruolarsi in Iraq in un esercito mercenario: poi alla fine capisci che lui “col c…o, che molla!”. Al mio amico Francesco, medico di continuità territoriale a Berchidda (il paese di Paolo Fresu e di Time in Jazz…), che sino a ieri inviava PEC disperate e accorate all’assessorato alla sanità regionale per sollecitare l’invio di dispositivi di protezione per far fronte all’ondata pandemica che rischia di travolgere la più bella isola della terra (sentimento personale). Penso all’altro mio conterraneo, il collega Gian Basilio Balloi, e al suo coraggioso appello di ieri: “licenziatemi, ma denuncio: questi panni per spolverare dovrebbero difenderci?”. Penso all’infermiera Alessandra Larocca e alla fierezza del suo appello su QS del 16 marzo:
“Armateci per combattere questa guerra. Nessuno di noi è sacrificabile”
Penso a tutti gli operatori sanitari di Italia che in queste ore non hanno certamente voglia, spirito e tempo da dedicare ad alcun contesto ludico e non vogliono medaglie né trofei, meno che mai targhe, ma soltanto prestare la loro opera indispensabile muniti degli equipaggiamenti necessari per fronteggiare il flagello di questa pandemia. Così soltanto ce la potranno fare.
Ecco perché, raccogliendo l’appello, mantengo la libertà che ancora mi è rimasta di partecipare all’iniziativa inviando simbolicamente, a tutte le amministrazioni delle ASL di Italia che autoassolvono le loro coscienze celebrando “gli Eroi” da medagliare, non una foto, uno scatto, ma un video che ritengo rappresenti la Realtà della situazione attuale vista dagli operatori impegnati in campo, e spesso lasciati da soli (3) contro un nemico che Cina e Corea hanno dimostrato di poter sconfiggere sì ma con i DPI!
Questione di Stile. La Parola ora a Edoardo de Filippo (e a Vittorio de Sica).
“Specializzazione è sapere sempre di più intorno a sempre di meno sino a sapere tutto sul nulla”
(Bertrand Russell)
[…] le situazioni di affollamento: in primis negli ospedali. L’autoassolutoria e demagogica narrazione degli eroi in trincea (pochi e malconci) senza avere predisposto sostanziali rinforzi umani o pensato di creare capillari […]
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